Massimo Mila |
Di
che cosa si parla durante un’escursione?
Molto
spesso di altre escursioni. E le conversazioni assumono la forma di monologhi
paralleli che qualche volta convergono intorno a un luogo, al nome di una cima
o al ricordo di un rifugio per poi tornare a distanziarsi in traiettorie
distinte, lungo sentieri che portano verso mete diverse. Sono conversazioni in
cui domina il fare rispetto all’essere, in cui i luoghi, le cime, i
rifugi diventano spesso le istantanee di un album di figurine o le immagini di
un campionario di prodotti consumati o da consumare. Sono conversazioni in cui
spesso predomina il che cosa e il quanto rispetto al come e al perché. E in
tutto questo sono i luoghi che spariscono, che perdono sempre più di
significato per divenire lo sfondo opaco di performance atletiche, di
passatempi consolatori o di pratiche terapeutiche.
Viviamo
una stagione di escursionismo di massa dove l’ansia per la sicurezza e il
bisogno di ridurre e controllare il rischio ci tengono in gruppo, ma nell’intimo
ci scopriamo spesso camminatori solitari e un po’ smarriti. E’
in questi momenti che occorre riscoprire il giusto significato dell’espressione fare una montagna, così come l’intendeva Massimo Mila nell’immediato dopoguerra, dopo avere trascorso sette anni in
carcere e due in montagna, nella Resistenza, dopo avere ripreso la passione
giovanile per l’alpinismo ed essere diventato uno dei più raffinati storici della musica. Basta guardarlo negli occhi, in questa foto segnaletica della polizia fascista.
E’ in questi momenti che occorre riscoprire il senso dell’escursionismo e dell’alpinismo come esplorazione, come conoscenza e pratica della natura e di sé stessi in relazione alla natura.
E’ in questi momenti che occorre riscoprire il senso dell’escursionismo e dell’alpinismo come esplorazione, come conoscenza e pratica della natura e di sé stessi in relazione alla natura.