Le scogliere di Etretat |
"La cittadina di
Etretat, inarcata a mezzaluna, con le bianche scogliere, i ciottoli bianchi e
il mare azzurro, riposava sotto il sole di una splendida giornata di luglio.
Alle due estremità della mezzaluna, le due porte, la piccola a destra, la
grande a sinistra, protendevano nell’acqua tranquilla, l’una il suo piede di
nana, l’altra la sua gamba di colosso; e la guglia alta quasi quanto la
scogliera, larga alla base e sottile in cima, puntava verso il cielo la sua
testa aguzza.”
Così
Guy de Maupassant, nella novella La
Modella, descrive Etretat, un lontano
passato di paese di poveri pescatori e un florido presente di centro turistico
della Normandia, cominciato nell’800 ospitando maestri della pittura come Delacroix,
Courbet, Boudin e Monet, scrittori come Maupassant e musicisti come Offenbach. E non ci
sono parole più precise per descrivere l’arco che le scogliere disegnano
intorno al centro abitato. Ma più ancora che al paese, al suo lungomare
affollato di bagnanti, è alla scogliera che occorre rivolgere il passo. La Grand Randonée 21 passa di qui. E’ un sentiero
di 92 km da Le Havre a Veulette sur Mer, che corre lungo la costa, in gran parte sulla scogliera, immergendosi nei campi e
attraversando valli, porti e paesi.
Da una parte si stende l’ondulata campagna normanna, con i pascoli cintati dove mandrie di bovini bianchi e pezzati ruminano pigramente sotto il sole estivo; con le grandi distese di grano maturo e di soia, interrotti dalle macchie verdi dei clos masure che, dietro la loro cinta alberata, al riparo dagli intensi venti marini, difendono la laboriosità di fattorie o nascondono l’intimità di eleganti seconde case tra orti domestici e giardini fioriti. Dall’altra si muove incessante il mare, nell’alternarsi regolare delle alte e delle basse maree che scandiscono i ritmi delle giornate sulla costa francese del Canale della Manica, di cui si scruta l’orizzonte, nelle giornate terse, convinti di vedere il miraggio della costa inglese. Un orizzonte ampio che sembra disegnare a vista d’occhio il profilo curvilineo del globo. Da una parte, dall’altra e sopra di noi un cielo alto e profondo di nuvole in fuga, pronte a farsi, nell’arco della stessa giornata, chiusa e plumbea cappa; un cielo percorso da correnti continue a dettare calma risacca sulle spiagge sassose o fragorosa burrasca sulle alte pareti calcaree.
Da una parte si stende l’ondulata campagna normanna, con i pascoli cintati dove mandrie di bovini bianchi e pezzati ruminano pigramente sotto il sole estivo; con le grandi distese di grano maturo e di soia, interrotti dalle macchie verdi dei clos masure che, dietro la loro cinta alberata, al riparo dagli intensi venti marini, difendono la laboriosità di fattorie o nascondono l’intimità di eleganti seconde case tra orti domestici e giardini fioriti. Dall’altra si muove incessante il mare, nell’alternarsi regolare delle alte e delle basse maree che scandiscono i ritmi delle giornate sulla costa francese del Canale della Manica, di cui si scruta l’orizzonte, nelle giornate terse, convinti di vedere il miraggio della costa inglese. Un orizzonte ampio che sembra disegnare a vista d’occhio il profilo curvilineo del globo. Da una parte, dall’altra e sopra di noi un cielo alto e profondo di nuvole in fuga, pronte a farsi, nell’arco della stessa giornata, chiusa e plumbea cappa; un cielo percorso da correnti continue a dettare calma risacca sulle spiagge sassose o fragorosa burrasca sulle alte pareti calcaree.
GR 21 |
Camminare
su queste scogliere vuol dire fare l’esperienza di un paesaggio sospeso tra tre
dimensioni originarie: la terra, il cielo e il mare. E noi in mezzo con le
nostre percezioni.
Lungo il cammino si scorgono persone che passano il giorno distese nell’erba alta a contemplare il cielo e il mare e altre che, anche solo per pochi minuti e in pose temerarie, si sporgono nel vuoto. A poco possono i continui richiami delle autorità che invitano a tenersi lontani dai bordi delle scogliere per il rischio di smottamenti e frane. Ma poco importa. E’ troppo forte il richiamo dell'affacciarsi sull’orlo del baratro, di oltrepassare il limite, di fare l’esperienza del vuoto, di dare e di cercare una misura a ciò che misurabile non è: la distanza e l‘alterità che si separano dalla natura e che non riusciamo a colmare con lo sforzo della ragione o con il supporto della tecnica. Eppure da quel vuoto ci sentiamo attratti come se a quella terra, a quel mare a quel cielo sentissimo di appartenere.
Lungo il cammino si scorgono persone che passano il giorno distese nell’erba alta a contemplare il cielo e il mare e altre che, anche solo per pochi minuti e in pose temerarie, si sporgono nel vuoto. A poco possono i continui richiami delle autorità che invitano a tenersi lontani dai bordi delle scogliere per il rischio di smottamenti e frane. Ma poco importa. E’ troppo forte il richiamo dell'affacciarsi sull’orlo del baratro, di oltrepassare il limite, di fare l’esperienza del vuoto, di dare e di cercare una misura a ciò che misurabile non è: la distanza e l‘alterità che si separano dalla natura e che non riusciamo a colmare con lo sforzo della ragione o con il supporto della tecnica. Eppure da quel vuoto ci sentiamo attratti come se a quella terra, a quel mare a quel cielo sentissimo di appartenere.
La
scogliera con la vastità del suo orizzonte sembra offrirci un punto di
osservazione privilegiato sulla natura, un’apertura sul suo significato, restituendoci,
nella percezione del vuoto sotto di noi che ci attrae e che ci respinge, un
senso di vertigine a cui siamo tentati di cedere, come se volessimo perderci in
tanta vastità, tuffarci in essa, oppure, per combatterla o per sfuggirle, librarci in volo,
mentre rimaniamo aggrappati a quella striscia di terra su cui camminiamo, come
equilibristi sul filo in tensione. “Che
cos’è l’uomo nella natura? – diceva Pascal
nei Pensieri - un nulla rispetto all’infinito, un tutto
rispetto al nulla, qualcosa di mezzo tra il tutto e il nulla.”
Guardare dalle scogliere |
Quel
sentiero, la misura del passo, l’orientamento del cammino, le soste nella
contemplazione, il vuoto, la vertigine, il volo disegnano un confine, una terra di nessuno,
tra il tutto e il nulla, tra la percezione della incommensurabilità della natura e la
consapevolezza della finitudine umana, di cui questo paesaggio si nutre, in cui si definisce. Come diceva Leopardi “noi
siamo del tutto alienati dalla natura e quindi infelicissimi”, ma in questo
sentimento vi è forse una delle poche tracce, anche se vaga, della comune origine
che ci lega alla natura.
Vi sono per fortuna luoghi, come il sentiero sulle scogliere di Etretat, dove la bellezza del paesaggio, nel lavorio sotterraneo della memoria, diventa un modo accettabile all’uomo per abitare questo sentimento inquieto.
Vi sono per fortuna luoghi, come il sentiero sulle scogliere di Etretat, dove la bellezza del paesaggio, nel lavorio sotterraneo della memoria, diventa un modo accettabile all’uomo per abitare questo sentimento inquieto.
Nessun commento:
Posta un commento