mercoledì 7 ottobre 2015

Storie di Calanchi e Crinali

Al termine di ogni escursione ti restano attaccate delle storie, frammenti di narrazioni, croste di fango sotto le suole degli scarponi o schizzi sullo zaino. E si indugia un momento prima di spazzolarle via. Sarà perché i luoghi sono fatti anche di storie e perché le storie lasciano impronte nei luoghi e anche in noi che li attraversiamo a piedi.
Capita così tra Calanchi e Crinali, di riscoprire alla Pieve le lontane tracce di un castello in una lapide del 1115 sul muro della Chiesa di S. Giorgio. Una chiesa dalle placide forme settecentesche  ci segna il passo  in questa borgata ormai semi abbandonata di Savigno. Resta difficile pensare oggi che le sommità arrotondate di queste colline, solcate dalla vite e dal calanco, furono segnate per secoli da un sistema fortificato di castelli e case torri lungo i tracciati medievali della Piccola Cassia. In queste terre ancora di confine tra Bologna e Modena, nel più ampio campo di battaglia tra Impero e Papato, si combattevano cruente guerre di famiglia per il mantenimento o la conquista di possedimenti, anime  e potere: storia particulare nella storia globale. Nelle vite dei “lupi rapaci” dei Cuzzano, nell’arco di tre generazioni, si trovano avventure, battaglie, ambizione, intrigo, tradimento, ferocia e per Guido da Cuzzano addirittura la decapitazione in piazza a Bologna, nel 1291, dopo essere stato catturato proprio alla Pieve. E’ forse questa la storia che ci vuole suggerire il vecchio cipresso secco, bruciato e scapezzato davanti alla Chiesa?

sabato 27 giugno 2015

Setteponti per Orsigna

I ponti esprimono il meglio dell'uomo, sostiene Ivo Andric. Uniscono ciò che è diviso e attraversano frontiere. Consentono di andare oltre, di dare un passo alla meta.
"Di tutto ciò che l’uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e più prezioso per me dei ponti. I ponti sono più importanti delle case, più sacri perché più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o al malvagio.[…]. Così, ovunque nel mondo, in qualsiasi posto il mio pensiero vada e si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto desiderio dell’uomo di collegare, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi."
Per salire in Orsigna non si parte da uno, ma da Setteponti. Vorrà dire qualcosa per il significato del paesaggio di questa valle?

Setteponti all'imbocco della Valle d'Orsigna


venerdì 26 giugno 2015

Il ponte salvatico di Orsigna


Il ponte salvatico nel Codice Atlantico
A Orsigna i ponti raccontano storie. Tra il Molino di Berto e il Molino di Giamba si può attraversare un “ponte salvatico”.  Salvatico  e selvatico. Salvatico perché salva la vita. Selvatico perché costruito senza chiodi e corde,  col sapiente  incastro di tronchi di castagno di due sole misure. Leonardo da Vinci nel 1502 lo disegnò e ne spiegò il montaggio nel Codice Atlantico. Prima di lui i cinesi l’avevano già utilizzato per usi agricoli, mentre Leonardo lo progettò tra i manufatti al servizio degli eserciti, per attraversare corsi d’acqua, quando ancora non esisteva il Genio Pontieri. Nelle guerre i ponti sono luoghi importanti, strategici e simbolici, tra gli ultimi ad essere distrutti e tra i primi ad essere ricostruiti. Segnano i momenti più drammatici di un conflitto,  come la speranza di una rinascita. «Questo è un ponte salvatico, fatto per neciessità d’uno esercito, dalle propie piante che ssi trovano alle riviere / de’ fiumi. E questa è l’armadura d’esso ponte, cioè l’ossa, che si copre poi di legniame più spesso e poi rami d’alberi / e sscope e piote di terra. E quanto più si carica più si serra e non ha neciessità di forte spalli come li altri».
Il ponte salvatico, se ben costruito, ha bisogno del passo e del passaggio dell’uomo per essere saldo e sicuro, per restituire salvezza a quell’uomo. I ponti di Orsigna sono salvatici perchè sono sostenibili, perchè raccontano una storia di pace, di rispetto per la natura, di tutela della memoria e del lavoro dell’uomo. Aspettano solo il nostro passo per continuare a esserlo e a farlo.

domenica 24 maggio 2015

Quel silenzio del nonno

Cento anni fa mio nonno partiva per la guerra. Un fornaio di 23 anni, occhi chiari e denti guasti. Tornò come altri, come alcuni, 4 anni dopo. Non parlò mai della prima guerra e cercò con tutte le forze di schivare la seconda. Cosa c’era in quel silenzio? La burocrazia militare ha restituito questa risposta.

Bigoni Francesco
Figlio di: Gaetano  e di Poggi Cesara. Nato il: 21 luglio 1892 a  Ro - Circondario di: Ferrara.Statura:1,73½. Torace:m.0,88.Capelli:biondi. Forma: lisci. Occhi: cerulei.Colorito: roseo. Dentatura: guasta. Arte o professione: fornaio. Sa leggere: sì. Sa scrivere:

Altopiano di Asiago - Magnaboschi: zaini di soldati in azione
Chiamato alle armi per mobilitazione e giunto in territorio dichiarato in istato di guerra li 23 maggio 1915. Giunto nel 43° Reggimento Fanteria li 12 luglio 1915. Era presente al fatto d’armi di Plava Zagora (Medio Isonzo). Monte Lemerle Altipiano di Asiago Maggio 1915-1916 per i quali la fanteria del 43° Fanteria cui apparteneva ebbe la medaglia d’argento al valor militare R. D. 3.8.16. Campagna di guerra 1915. Campagna di guerra 1916. Campagna di guerra 1917-1918.

giovedì 14 maggio 2015

Il segreto dell'aquilegia


Bella si erge l’aquilegia e china il suo capo.
È emozione? O è spavalderia?
Voi non lo indovinate.
da Frühling, J.W.Goethe

L’aquilegia è fiorita in questi giorni in Appennino. La si può incontrare nell’Alta Valle del Reno, lungo il sentiero CAI 169, dalle parti di Posola e di Canal di Sasso, uscendo al sole, dalla macchia di nuovo verde, tra il giallo della ginestra del carbonaio e il fiore bianco e pendulo dell’orniello. Si fa notare per il colore blu intenso e la forma strana della sua corolla, come un cappello da giullare rovesciato.
E’ un fiore appariscente ma che sfugge e non si lascia indovinare, come dice Goethe. Il suo nome ha radice al tempo stesso nell’acqua e nell’aquila. E’ come se nascondesse un segreto ed infatti uno dei suoi nomi volgari è Amore segreto. In Francia lo chiamano Dame honteuse, oppure Ancolie, che rimanda a malinconia, sentimento ambiguo e sfuggente, spesso frutto dell’amore sventurato o non corrisposto. 
Fiore dell’amore triste, richiama la leggenda di quei longobardi che vissero anche queste contrade di confine: la nobile Teodagne che, sposa dell’infedele Rutibando, decise di trasformarlo con un incantesimo in un’aquilegia per salvarlo comunque dalla furia assassina delle altre donne, in collera con lui.  
Fiore dell’amore tradito, come quello di Ginevra d’Este, ritratta da Pisanello, tra garofani e aquilegie, per raccontare il suo triste destino di giovane moglie tradita da Sigismodo Maltesta e da lui avvelenata per sentirsi libero di amare un’altra donna. Anche il dipinto che la ritrae nasconde un segreto, nella fitta macchia punteggiata di aquilegie, alle spalle della giovane.
E’ difficile non lasciarsi catturare dal fascino ambiguo dell’aquilegia, ma è meglio non indugiare, affrettare il passo e raggiungere i compagni di strada, prima di rimanere vittima dei suoi segreti e dei nostri pensieri più inquieti e malinconici

sabato 9 maggio 2015

Parole da leggere e camminare

Ci sono parole che raccontano un luogo meglio di un'immagine. Basta avere il tempo di leggerle e di camminarle.

“Alti e discoscesi monti, spesso a perpendicolo, talvolta anche spostati in fuori, fanno trista parete a questa valle, serrata incontro agli amorosi venti. Le brune foreste, onde tratto tratto sono vestiti i meno aspri fianchi delle rupi, ora contrastano con le biancheggianti masse calcari, ora si accordano con lo schisto nericcio, ora fan più risaltare i divallamenti colorati in arancio dall’ocra di ferro. Non pertanto vi sono seni o golfi, difesi dal soffio aquilonare, guardati pietosamente dal sole. L’industria dell’alpigiano li trasforma allora in fruttuosi campi, e queste verdeggianti oasi tanto più riescono grate al riguardante quanto più tetro e sconsolato gli si mostra tutto ciò che loro sovrasta e soggiace. […] Ma per chi ama un aspro e selvaggio prospetto, un mirabile effetto della natura; chi prende diletto nell'osservare i grandi fenomeni geologici, nel seguire gli angoli delle montagne e considerare la direzione de' loro strati, nell'esaminare i burroni scavati dai torrenti, le nevi che imbiancano le cime dei monti, le pendici dai quali sono verdeggianti o nericcie, nell'osservare le ruine e i dirupamenti, nel rappresentarsi finalmente l'uomo in atto di lottare colla natura, e di superarla per isvellere di che provvedere a' suoi principali bisogni, egli può avere a grado il passaggio per quest'alpino paese, per questa solitaria ed infelice parrocchia."

Può suonare strano ma l'alpino paese è Biagioni nell’Alta Valle del Reno e la solitaria e infelice parrocchia è quella di S. Giovanni Battista come sono raccontati in Chiese parrocchiali della Diocesi di Bologna ritratte e descritte nel 1851, prima che arrivasse la ferrovia e una certa idea di modernità; prima che quella montagna, faticosamente addomesticata dall'uomo, venisse rapidamente abbandonata per essere riconquistata da un diverso ambiente selvatico, dove l'uomo si muove oggi con un nuovo senso di estraneità. 

Andremo da quelle parti il 16 maggio per una escursione del Trekking col treno lungo il Sentiero dei proverbi.

venerdì 17 aprile 2015

Il bisogno di orizzonte

“Cosa ci fai qui?” chiedo sorpreso. “Oggi ho bisogno di ampi orizzonti” risponde la collega.
Ci incontriamo a Medelana, dove il sentiero CAI 140 incontra l’asfalto. Io sono a metà del percorso, lei, con un’amica, sta per cominciare il suo cammino. Ci scambiamo alcune informazioni sui sentieri e ci promettiamo di rivederci nei giorni successivi per raccontarci le impressioni sulle nostre camminate. Quel bisogno di ampi orizzonti resta però nell’aria e nella mente. Sarà che la dose quotidiana di orizzonte l’ho già respirata e l’ho ancora nei polmoni. Sono partito da Lama di Reno e il sentiero è salito ripido in un bosco di faggi e poi progressivamente si è allargato in carrareccia da Monazzo a Collina. Ha accarezzato le curve dei pendii fino ad aprirsi, tra Calvane e Monte Terranera, in ampi squarci panoramici su S. Luca e la pianura. Qui il passo si è disteso e il respiro si è liberato, di fronte a tanta ampiezza di veduta, in una sensazione di sollievo.
Da dove nasce questo bisogno di orizzonte? Questa sensazione di sollievo? La risposta è ovvia: da una mancanza di orizzonte, da un respiro ansioso, da un passo contratto che spesso descrive la nostra quotidianità.

lunedì 16 marzo 2015

Il sottile inganno di un'escursione

Il ragazzo rapito di Robert Louis Stevenson
“Incominciai il mio piccolo pellegrinaggio nel più invidiabile di tutti gli stati d’animo: quello nel quale una persona, con una quantità sufficiente di denaro e uno zaino, volta le spalle a una città e avanza all'interno di una regione che conosce solo sulla base di una vaga relazione di altri.
Un tipo del genere non ha rinunciato al suo desiderio e non ha contrattato le sue prossime cento miglia, come un uomo in ferrovia. Egli può cambiare idea a ogni palo segnavia e, dove le strade si incontrano, può seguire liberamente vaghe preferenze e percorrere la strada bassa o quella alta, scegliere l’ombra o il pieno sole, sopportare di essere tentato dal sentiero che curva repentinamente dentro i boschi o dalla strada ampia che si stende in lontananza aperta davanti a lui, e gli mostra le guglie distanti di qualche città, o una catena di cime di montagne, o una linea di mare, forse, lungo un basso orizzonte. In breve, egli può gratificare ogni sua fantasia e capriccio, senza una fitta di biasimo della coscienza, o l’ultimo colpo al suo amor proprio.