sabato 26 gennaio 2013

Triangolo nero per i vagabondi

Domani è il Giorno della Memoria, dedicato al ricordo di tutte le vittime della persecuzione e della deportazione del nazi-fascismo. La lingua ebraica ha dato a questo evento la parola shoah che nel suo significato etimologico di catastrofe non riesce a tradurre e a rendere l'incommensurabilià della tragedia avvenuta, tale da evocare in molti l'idea del male assoluto. La vastità dell'esperienza della deportazione e dell'internamento nei lager nazisti supera i confini etnici del popolo ebraico perchè  ha conivolto altre popolazioni come rom e sinti, confessioni religiose come i Testimoni di Geova, i prigionieri politici, gli omossessualii disabili e i malati di mente. Può sembrare incredibile ma anche i vagabondi sono stati vittime della deportazione, contrassegnati con il triangolo nero degli asociali, vittime due volte del pregiudizio storico e dell'annientamento. Una legislazione diffusa in molte parti dell'Europa dall'inizio dell'età moderna, fondata anche su fenomeni reali come l'accattonaggio e il banditismo, ha contribuito però a costruire uno stereotipo negativo del vagabondo, come colui che trascorre la vita da un luogo ad un altro, senza una professione sicura e senza una casa e per questa sua alterità, pericoloso per la comunità e per l'ordine costituito. Il campo semantico della parola vagabondo è quindi coinciso per alcuni anni con il tragico perimetro dei campi di concentramento. Il cammino del vagabondo, a volte senza mèta, se non quella del sostentamento, è coinciso per quegli anni con la crudele esperienza della marce della morte.
Se è vero, come molti sostengono, che l'odierna pratica del camminare favorisce l'esercizio della memoria come cura di sè, allora, con una passeggiata silenziosa, ricordiamo che anche questo è stato.

Parlare con i piedi/ Gianni Celati

giovedì 24 gennaio 2013

Perdersi fa bene?

Ieri un uomo anziano si è perso di notte con la sua automobile sull'Appennino tosco-emiliano, dopo aver finito la benzina. L'uomo è stato trovato dalla Polizia. Un'avventura che ha fatto notizia. Perdersi e orientarsi sono verbi riflessivi che esprimono il nostro modo di essere nel mondo, di abitare lo spazio: sono un azione culturale ed esistenziale.
Bussola e mappa
Nonostante le nostre mappe da adulti, smarrirsi è un’esperienza sempre latente. Passiamo gran parte del nostro tempo a conquistare, determinare, riconfermare le boe intorno alle quali muoverci, i punti di riferimento che determinano noi stessi come individui ambientati, capaci di non disperare nel tragitto incognito tra un luogo ed un altro luogo amico. Il rovesciamento di questa latenza, anzi l’uso di questa sensazione di pericolo possibile e imminente è il senso dell’avventura, la conquista dello spazio cioè di nuovi spazi per i nostri movimenti, di nuovi amici, di nuovi luoghi, l’ampliamento della nostra mappa mentale. Perdersi in questi casi è la condizione di origine, il bisogno ed il terreno su cui si comincia o si ricomincia ad orientarsi. Dal perdersi all’orientarsi c’è un processo culturale, l’uso delle occasioni esterne, indifferenti, per volgerle a nostro favore, il piegare l’estraneo a divenire accogliente, a permettere di dimorarvi.

mercoledì 23 gennaio 2013

Pensare con i piedi/ Franco Cassano

Giornata internazionale della lentezza: un'immagine
"Passeggiare è evadere dalla corsa feroce, da quell'assedio che chiude le porte da cui potrebbe entrare la vita, da quelle giornate murate che fanno del telefono cellulare un cellulare di polizia. Passeggiare è mettere la punteggiatura ai giorni, andare a capo, voltare pagina, creare intervalli, parentesi o punti interrogativi. Passeggiare vuol dire infiltrare un po' di vacanza in ogni giornata, lasciare aperta una fessura nel quotidiano, sapendo che la sorpresa può entrare anche dalle porte strette. [...] Passeggiare è un'arte povera, un far niente pieno di cose, il piacere di scrivere una pagina bianca, una risacca dolce della nostra vita minima. Passeggiare vuol dire partire per arrivare, ma senza impegno, perchè ci si può fermare prima, cambiare percorso, inseguire un'altra idea, prendere una strada secondaria, fare una digressione.

lunedì 21 gennaio 2013

Guarda....

Capita spesso, quando si cammina in montagna, di accompagnare qualcuno in un luogo preciso, scelto magari con qualche trepidazione per particolare bellezza o significato, e dire al compagno o alla compagna: "Guarda...", accompagnando l'esortazione con il gesto semplice dell'offerta del panorama, di sè e del proprio rapporto con il mondo. In quel gesto c'è la proposta di una condivisione di sguardi, di emozioni e di percezioni. La ricerca di una meraviglia che vorremmo svelasse una comune profondità e intimità. E' forse questo il senso di quel silenzio che segue quel gesto e quella parola, di quei puntini di sospensione? Occorrebbe indugiare con il pensiero su quel silenzio, dove spesso il discorso umano non arriva. Le fotografie possono qualcosa quando fermano in un'immagine le persone che guardano un paesaggio. Parlano di contemplazione, introspezione, attesa, del nostro modo di abitare il mondo, di essere nel paesaggio.

 

domenica 20 gennaio 2013

Compagni di avventura

Alan e David
Andare in montagna in gruppo è una pratica sempre più diffusa. Persone di provenienza diversa si incontrano in un luogo e in un'ora prestabilita per condividere un percorso e una meta anche per il tempo di una sola giornata. Ognuno con condizioni fisiche ed esperienze diverse, con motivazioni e bisogni, dichiarati o reconditi, altrettanto diversi. Con loro uno o più accompagnatori, così si chiamano quando ad organizzare è il CAI. Chi è un accompagnatore? I documenti parlano chiaro. Non è una guida, perchè non è un professionista, ma un volontario che non percepisce un compenso per il suo compito. Questo non significa che non debba essere preparato e responsabile. Un accompagnatore deve avere competenze tecniche, capacità relazionali, conoscenze ambientali e storiche che ne fanno un testimone privilegiato del territorio e della passione per la montagna e il camminare. Se le parole però hanno un senso vale la pena soffermarsi sull'etimologia di compagno che affonda le sue radici nel latino cum panis, colui con cui si condivide lo stesso pane, oppure cum pagus, colui che viene dallo stesso paese. In quel cum dell'accompagnare c'è un'idea forte di condivisione dello stesso cibo e dello stesso luogo, nel tempo e nello spazio breve di una escursione. L'idea di condividere un comune cammino, un comune paesaggio e in un certo senso un comune destino ha a che fare anche con una certa idea di umanità e con un certo modo di stare nel mondo. Per questo ogni escursione può essere percepita e descritta anche come un'avventura - senza per questo dimenticare la sicurezza - e per questo è importante riconoscersi durante e dopo di essa compagni di avventura. Uno dei miei accompagnatori preferiti si chiama Alan Breck Stewart, l'ho incontrato in Scozia mentre accompagnava a piedi dall'Isola di Mull a Edimburgo un ragazzo di nome David Balfour in uno dei più avvincenti romanzi di Robert Louis Stevenson, scrittore e escursionista.Vale la pena conoscerlo.

mercoledì 16 gennaio 2013

Oggi è arrivata la neve

Dove stiamo andando?
"Ma dov'è questo freddo che giornali e televisioni ci vogliono far credere? Freddo polare, freddo siberiano, bufere di neve, strade ingolfate [... ] E' che noi uomini abbiamo la memoria corta, e chi ce la vuole ravvivare non ne ha. Pochi sono quelli che sull'agenda scrivono le temperature, le precipitazioni, i cambiamenti del clima. Solo affari, solo appuntamenti; una volta erano certamente di più gli uomini che usavano annotare anche le cose della natura, perchè ora si vive con artifizi, ossia con espedienti diretti a ottenere effetti estranei all'ordine naturale.
Prova, lettore, a immaginare una fatto importante della tua vita localizzandolo nel luogo e nella stagione e prova a ricordare com'era il tempo. Freddo? Caldo? Era sereno il cielo? Raffrontalo con l'oggi e vedrai che gli eccessi, le esagerazioni sono più volte fuori tempo"
Mario Rigoni Stern, Stagioni

venerdì 11 gennaio 2013

Errare humanum est?

Bonjour Monsieur Courbet
Cosa dice l’errore della diritta via?
Cammino randagio nella sezione genetica de La Villette di Parigi e mi accorgo che senza l’errore, senza la casuale combinazione di fattori, senza la deviazione episodica dalla diritta via della ripetitività dei comportamenti umani e animali, non vi sarebbe stata evoluzione e quindi vita. Esiste quindi un errore creativo. Come distinguerlo da un errore distruttivo? Errare è quindi umano, ma è soprattutto vitale. Quando errare diventa vitale? Dante smarrisce la diritta via in una selva e si incammina lungo la più difficile strada dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, in un viaggio nella vita dell’uomo, della storia, della divinità. Errare è diventato sinonimo negativo del camminare, deviazione dalla retta via dettata prima di tutto dalla religione cristiana e dai suoi comandamenti. Via, Verità e Vita sono le tre V del cammino nella luce di Cristo, ci insegnavano da piccoli:  la Via sta nella Verità che sta nella Vita, solo se consacrata al Cristo. Sarà per questo che la Chiesa ha così tante resistenze ad ammettere l’evoluzionismo, fondato sul caso, sulla possibilità dell’errore, su una costante erranza della vita, che non ammette diritte vie precostituite. Sarà per questo che la diritta via, spesso rappresentata dalla legge, ha punito per tanto tempo l’erranza, il vagabondaggio, il nomadismo del singolo come di un intero popolo, confinandolo ai margini della società, spesso nella categoria dell’errore sociale, come pericolosa alterità.

Scendendo dal Mutegg

SchwemmAlm pistenplan
Credo abbia ragione Marcello. La differenza fondamentale tra chi cammina e chi scia in montagna è semplice: ai primi piace salire e ai secondi scendere. E’ una considerazione anche banale ma che mi ha consolato, al rientro a casa dopo l’ultima escursione al Mutegg che non mi aveva lasciato del tutto soddisfatto per la forzata convivenza in quota con la vorticosa giostra degli sciatori. Salita/discesa, camminare/scivolare, lentezza/velocità, orientamento/traiettorie, osservazione del paesaggio/colpo d’occhio, equipaggiamenti poveri/ricchi. Sono solo alcuni dei tratti che disegnano la linea di demarcazione tra chi sale a piedi e chi scende con gli sci. Nessun giudizio di valore. Semmai la constatazione di due universi umani che convivono su una montagna. Ma anche due modi diversi di intendere la montagna. Per chi cammina la montagna è un luogo, molto spesso inospitale e proibitivo, dove le dimensioni primordiali del cielo e della terra si toccano e si incontrano ma dove molto spesso proprio l’uomo è fuori luogo. Per chi scia la montagna è quella della foto: linee rette di seggiovie, linee curve di piste e di raccordi tra bar, ristoranti e solarium, simili al reticolo autostradale dove non è ammesso ostacolo alla libertà di movimento dell’uomo che scivola via senza pensieri che non siano quelli di controllare la propria adrenalina.  La montagna per chi sale a piedi è la mèta che dà il senso alla fatica di una giornata, per chi scende con gli sci è un punto di partenza per l’ebrezza di pochi minuti. 

venerdì 4 gennaio 2013

Mi sono imboscato

Sordi e Gassman ne La Grande Guerra
Quando cammino in un bosco sento che il mio passo rallenta e si distende. E’ successo anche oggi nel corso della bella ciaspolata nella valle dello Steinrast (di cui segue la traccia). Sarà stato il phön che calava dai pendii scoperti del Reatten, con il rumore sinistro di un anticipo di valanga (segnalata anche dai cartelli). Mi sono quindi imboscato tra abeti bianchi e rossi misti a larici ischeletriti e tra tappeti di muschio morbido che bucava la neve e mi sono sentito subito al riparo. Il verbo imboscare ha anche un significato protettivo. Rispondeva alla pratica difensiva di nascondere se stessi e i propri beni in un bosco, come se fosse un luogo sicuro, magari perché inospitale. Sono sempre di più le persone oggi che cercano rifugio e riparo nel bosco. Ci sono nuove minacce da cui difendersi, da cui scappare e per cui nascondersi, anche solo per qualche giorno. Come se la fotosintesi oltre a ripulire l’aria depurasse anche le menti dalle inquietudini e dalle paure. Si può forse riconsiderare l’accezione negativa del sostantivo imboscato, imposto da una retorica guerresca anche nella trincea del lavoro, in un paese, come il nostro, che fortunatamente ha conosciuto anche il Diario di un imboscato durante la Grande Guerra e che deve la sua Liberazione a una giovane generazione che ha deciso di imboscarsi per poi ridiscendere, temprata da quel bosco, in città. Resta l’imboscata, la più antica tattica di guerra che l’uomo abbia inventato per sopraffare tra gli esseri viventi anche i suoi simili. Oggi ne ho evitate di nuove e diverse ad opera di proiettili umani con gli sci che scendevano lungo piste che squarciavano il bosco e da cui mi sono difeso nell’unico modo che conosco: imboscandomi ancora di più.  

giovedì 3 gennaio 2013

Ultental - La lingua di un luogo

Sono arrivato nella Ultental. Di seguito due passeggiate invernali nella valle a partire da St. Walburg. Due itinerari per fare gamba e fiato, senza asperità, senza difficoltà, senza ciaspole, ma nella neve. Due passeggiate per avere un’idea di che cosa è una valle alpina che vive nella cultura del maso, quando li vedi arrampicati sui pendii più scoscesi, dove il pascolo sconfina nella roccia. Per camminare qui con un minimo di cognizione bisogna rendersi famigliari i nomi dei luoghi, delle montagne e dei sentieri, immergersi in essi, farli diventare i propri punti di riferimento nella mappa mentale con cui costruiamo o ricostruiamo il percorso. Occorre però abbandonare la facile scorciatoia del bilinguismo altoatesino, cercando il rassicurante toponimo italiano, se non si vuole cadere rapidamente nello spaesamento. Meglio la fatica della lettura, anche a posteriori, sulla mappa o quella paziente dei segnavia, facendo l'orecchio a suoni all’apparenza difficili. Un luogo è anche una lingua, la sua lingua, quando si percepisce che una parola descrive un luogo ed anche il suo suono è parte del significato di quel luogo.