domenica 18 novembre 2012

Poetare con i piedi / Giacomo Noventa

 Par vardàr dentro i cieli sereni,
Là sù sconti da nuvoli neri,
Gò lassà le me vali e i me orti,
Par andar su le cime dei monti.

Son rivà su le cime dei monti,

Gò vardà dentro i cieli sereni,
Vedarò le me vali e i me orti,
Là zò sconti da nuvoli neri?

Giacomo Noventa, Par vardar in Versi e poesie

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sabato 17 novembre 2012

Raccontare con i piedi/ Luigi Meneghello

"Una volta nel bosco, da solo, stavo lì coi piedi su un greppo a fantasticare, come si finisce fatalmente col fare quando si è soli; vengono quei pensieri informi che si muovono lentamente e continuamente, e non concludono mai nulla, eppure sembra che abbiano dentro il veleno della verità. E' per questo forse che lodiamo la solitudine. [...] Questi pensieri si muovono, si muovono e non concludono. Però c'era questo di serio, sotto, che il bosco in quel momento mi pareva di sentire fortemente che cos'era, e dev'essere per questo che me ne ricordo, e inoltre perchè subito dopo sparai, e in quel mese sull'Altipiano ogni volta che c'erano spari mi restavano impressi."

Luigi Meneghello, I piccoli maestri, Rizzoli

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lunedì 12 novembre 2012

La panchina di Francesco

Fracesco Petrarca era un escursionista e un paesaggista ante litteram. Nel 1336 convinse il fratello ad un trekking per raggiungere la cima del Monte Ventoso, nel sud della Francia. In una lettera racconta ad un amico la preparazione, il percorso, la fatica, gli incontri, gli smarrimenti, le percezioni e i pensieri. Giunto in cima, con lo spettacolo della Valle del Rodano e del mare che gli riempivano lo sguardo, la mente e il cuore, richiamò alla memoria questa frase da Le Confessioni di Sant'Agostino che dovrebbe ricordare chiunque riconosce nel camminare una dimensione di vita: "E gli uomini vanno ad ammirare le vette dei monti, le onde enormi del mare, le vaste correnti dei fiumi, l'estensione dell'Oceano, le orbite degli astri, ma poi trascurano sè stessi"

domenica 11 novembre 2012

Pensare con i piedi/ Eugenio Turri

"Ormai abbiamo tanti paesaggi della memoria o della nostalgia: i mass media ce ne propinano uno dopo l'altro, e la mobilità ci porta a viaggiare a costruire esperienze in territori sempre nuovi; [...] L'uomo di oggi vive un tempo disarticolato, sganciato dal tempo ciclico, naturale: il suo vissuto è molteplice, aperto, quindi il suo paesaggio della memoria può essere confuso, contradditorio, forse anche meno forte e appassionato. [...] Il diritto alla nostalgia ha dunque motivazioni sempre più fragili e forse è destinato a scomparire. Ci si può chiedere infatti se esso non sia altro che l'ultima forma di resistenza che l'uomo oppone alla morte, cioè alla sua scomparsa come individuo e come società, e se esso non debba perdere ogni giustificazione una volta che l'uomo abbia preso piena coscienza che la storia cammina con passi lentissimi ma inesorabili verso una direzione precisa."

Eugenio Turri, Il diritto alla nostalgia in Il paesaggio come teatro, ed. Marsilio

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Una casa di cortecce

Mario Rigoni Stern
"La mia terza casa fu un rifugio dell’inconscio e fisicamente non l’ho mai abitata. Dopo anni di guerra  mi ero ritrovato in un grande Lager, in un angolo molto triste della Prussia Orientale, ora diventato territorio dell’URSS. Baracche, reticolati, neve grigia. Disciplina spietata, fame da morire e tanti Gefangen stipati in una promiscuità anonima. Numeri non nomi. Su un foglio di carta chissà come trovato, con meticolosità e pazienza disegnai la casa che mi sarei costruita al ritorno. Il luogo che avevo scelto era lontano da altre abitazioni, in un bosco che conoscevo molto bene e all’incrocio di due carrarecce, su un piccolo rialzo. Ma questa casa era come una tana sotterranea, con un posto per dormire, un posto per il fuoco, un posto per una ventina di libri; avrei vissuto di caccia e di bosco, e di un piccolo orto dentro una radura. In questa casa seminterrata, fatta con tronchi e pietre, terra battuta e muschio e cortecce, era prevista ogni cosa necessaria alla mia vita, e dopo quanto avevo visto e provato mi pareva l’unica soluzione possibile della mia esistenza."

Mario Rigoni Stern, da Le mie quattro case

La mia città ha voglia di camminare?

"Le città hanno smesso o rischiano di smettere di essere democratiche quando alla vita di strada si sostituisce uno spazio diviso in aree recintate e sorvegliate ed una circolazione riservata solo alle automobili. (…) Il camminare dà fastidio perché genera molte cose, alcune delle quali non facilmente controllabili. Anzitutto questa esposizione del sé al mondo e l’impressione di essere uno dei corpi che ne costituiscono il paesaggio: e poi la democrazia che viene dall’impressione della compresenza tra altri corpi viventi. Un mondo di stranieri, sì, ma un mondo in cui il gioco del camminare invita alla vetrina e al rispecchiamento.”

Franco La Cecla, Prefazione a Storia del camminare di Rebecca Solnit, Bruno Mondadori