venerdì 17 aprile 2015

Il bisogno di orizzonte

“Cosa ci fai qui?” chiedo sorpreso. “Oggi ho bisogno di ampi orizzonti” risponde la collega.
Ci incontriamo a Medelana, dove il sentiero CAI 140 incontra l’asfalto. Io sono a metà del percorso, lei, con un’amica, sta per cominciare il suo cammino. Ci scambiamo alcune informazioni sui sentieri e ci promettiamo di rivederci nei giorni successivi per raccontarci le impressioni sulle nostre camminate. Quel bisogno di ampi orizzonti resta però nell’aria e nella mente. Sarà che la dose quotidiana di orizzonte l’ho già respirata e l’ho ancora nei polmoni. Sono partito da Lama di Reno e il sentiero è salito ripido in un bosco di faggi e poi progressivamente si è allargato in carrareccia da Monazzo a Collina. Ha accarezzato le curve dei pendii fino ad aprirsi, tra Calvane e Monte Terranera, in ampi squarci panoramici su S. Luca e la pianura. Qui il passo si è disteso e il respiro si è liberato, di fronte a tanta ampiezza di veduta, in una sensazione di sollievo.
Da dove nasce questo bisogno di orizzonte? Questa sensazione di sollievo? La risposta è ovvia: da una mancanza di orizzonte, da un respiro ansioso, da un passo contratto che spesso descrive la nostra quotidianità.

Misuriamo lo spazio delle quattro mura dell’ufficio. Presidiamo il perimetro di azioni sempre più costrette tra compatibilità organizzative e sostenibilità economiche. Compulsiamo l’agenda elettronica nel tentativo di incastrare scadenze di lavoro con bisogni privati, nel rischio latente di far precipitare il tutto in default esistenziali. Le pareti domestiche, nelle ore serali, sono un rifugio per la stanchezza di scalate professionali e gli affetti riservano carezze a corpi e menti indolenzite, mentre fuori dalla finestra le montagne hanno il profilo squadrato del condominio di fronte e il cielo è un trapezio scaleno tra tetti.
Eppure le nostre vite si muovono frenetiche nei territori sconfinati del web. Ogni giorno lasciamo esili tracce rinchiuse nei pollici dei device, come briciole di Pollicino spazzate dai venti di scroll. Guardare dentro un iPad o uno smartphone corrisponde a un’esperienza del tutto diversa: il fuoco della visione non si apre, si chiude in un angolo sempre più stretto. Non a caso è un guardare privato, mai comunitario.” E ancora “ Di tutto quello che si può documentare riguardo alla propria presenza in un certo luogo, il selfie sceglie di lasciar perdere il mondo circostante per concentrarsi sulla faccia del soggetto.” E’ il regista Davide Ferrario che ci ammonisce che non sappiamo più guardare il mondo, non riusciamo più ad allargare lo sguardo oltre noi stessi, al contesto che ci circonda. Anche l’esperienza virtuale tradisce quindi un bisogno di orizzonte.
Uscire di casa all’alba, lasciare la città, andare in ambiente, misurarsi con la fatica del corpo e le insicurezze dalla mente, confrontarsi con la dimensione selvatica della natura, raggiungere uno spazio aperto, cercare di orientarsi in un territorio con l’aiuto della mappa e della bussola, risponde a questo bisogno d’orizzonte. Fare escursionismo consente di ridare profondità al respiro, riconquistare ampiezza allo sguardo e restituire circolarità al pensiero Di fronte alla linea dell’orizzonte possiamo provare a fare l’esperienza di definire la nostra collocazione nello spazio e nel tempo.
La linea dell’orizzonte segna senza dubbio un confine e un limite, così come lo sono le mura di un ufficio, di una casa, di una città o i pollici di uno smartphone, entro cui definiamo lo spazio fisico e virtuale delle nostre relazioni sociali. L’orizzonte però ha un valore duplice e ambiguo, segna il confine e al tempo stesso il punto di unione tra due archetipi per l’uomo: la terra e il cielo, la dimensione naturale e quella divina, il finito e l’infinito. E’ in direzione di quella linea tra terra e cielo, tra natura e divino, tra finito e infinito che l’uomo può camminare sul delicato equilibrio della sua posizione eretta, nell’angolo prospettico di uno sguardo aperto e attento, con il patrimonio consapevole delle sue percezioni e provar di trovare un senso al suo stare nel mondo. Per questo l’orizzonte è uno dei tratti essenziali dei paesaggi umani.
Infine la linea dell’orizzonte è ambigua perché non è sempre la stessa, muta il suo profilo in relazione al cammino dell’uomo. Rimane sempre presente e mai raggiungibile. Per questo l’orizzonte è anche una metafora, come diceva lo scrittore Eduardo Galeano in Parole in cammino, pensando all’utopia: “Lei è all’orizzonte. […] Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare”. E Maurizio Maggiani di rimando chiosava: ”Ecco, l’utopia è lo strumento che hai per camminare, la memoria è lo strumento che hai per camminare in una direzione che scegli, a ragion veduta, perché sai e ricordi da dove vieni, da chi vieni”.


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