mercoledì 7 ottobre 2015

Storie di Calanchi e Crinali

Al termine di ogni escursione ti restano attaccate delle storie, frammenti di narrazioni, croste di fango sotto le suole degli scarponi o schizzi sullo zaino. E si indugia un momento prima di spazzolarle via. Sarà perché i luoghi sono fatti anche di storie e perché le storie lasciano impronte nei luoghi e anche in noi che li attraversiamo a piedi.
Capita così tra Calanchi e Crinali, di riscoprire alla Pieve le lontane tracce di un castello in una lapide del 1115 sul muro della Chiesa di S. Giorgio. Una chiesa dalle placide forme settecentesche  ci segna il passo  in questa borgata ormai semi abbandonata di Savigno. Resta difficile pensare oggi che le sommità arrotondate di queste colline, solcate dalla vite e dal calanco, furono segnate per secoli da un sistema fortificato di castelli e case torri lungo i tracciati medievali della Piccola Cassia. In queste terre ancora di confine tra Bologna e Modena, nel più ampio campo di battaglia tra Impero e Papato, si combattevano cruente guerre di famiglia per il mantenimento o la conquista di possedimenti, anime  e potere: storia particulare nella storia globale. Nelle vite dei “lupi rapaci” dei Cuzzano, nell’arco di tre generazioni, si trovano avventure, battaglie, ambizione, intrigo, tradimento, ferocia e per Guido da Cuzzano addirittura la decapitazione in piazza a Bologna, nel 1291, dopo essere stato catturato proprio alla Pieve. E’ forse questa la storia che ci vuole suggerire il vecchio cipresso secco, bruciato e scapezzato davanti alla Chiesa?
Oppure la storia di Bartolomea, detta Bona, una ragazza di queste contrade dalla lingua sciolta e dalla battuta secca, arrivata da Roffeno dove aveva imparato a vivere in eremitaggio secondo la regola degli Apostolici e gli insegnamenti di Zaccaria da S.Agata. “Dio è libertà” ripeteva alla gente incredula del luogo, contadini, servi di feudatari come i Cuzzano , anime delle pievi. Dava scandalo negando la verginità di Maria e i suoi miracoli, ma dava scandalo anche il fatto che non credesse che la verginità fosse una via per la salvezza e la perfezione. Per questo viveva in comunione con altre donne e uomini.  Per questo fu costretta a farsi riconoscere per strada come peccatrice penitente con una croce color zafferano cucita sulle vesti . La crocesignatura era il primo avvertimento che i tribunali religiosi imponevano a chi era in odore di eresia. Di lei sappiamo solo ciò che vollero farci conoscere i suoi giudici. Il 1307 fu l’anno in cui la Chiesa chiuse i conti con gli Apostolici dolciniani in tutto il nord e per Bartolomea  quell’anno terminò prima, il 21 novembre, nella piazza del mercato di Bologna, al rogo.
Le storie arrivano in un luogo anche attraverso il nostro camminare, seguono il ritmo regolare del passo e quello irregolare delle conversazioni e delle confidenze lungo il percorso. Lasciano impronte più leggere sul territorio ma non meno in noi stessi.
Una di queste storie ti può cogliere in una mattina di brume autunnali come questa, dove il sentiero 219 lambisce i calanchi di Monte Specchio senza lasciarteli vedere . Mentre passi tra le ginestre e spezzi le esili trame di ragnatele che stillano nebbia, senti per la prima volta, dopo il caldo dei mesi estivi, l’umidità farsi strada  sotto i vestiti. E senti anche l’italiano che inciampa di un giovane rumeno che lavora nei petroli a Ravenna e che si è alzato all’alba per questa escursione. Camminando uno dietro l’altro senza guardarsi le parole scorrono più facile e sciolte. Dice che ama la montagna, anche quando è collina.  Dice che sono altre le montagne in Romania, più alte e rocciose di questo Appennino, ma è contento lo stesso perché sta all’aria aperta e conosce nuovi luoghi. E’ appena arrivato dalla Malesia dove è stato per tre anni, sempre nei petroli, e ha camminato sulle montagne dell’altro emisfero e nelle foreste equatoriali, dove le piogge monsoniche occupano mesi e ti bagnano insieme al sudore. Provi a misurare quanto è lontana la Malesia  dal Monte Specchio e provi ad avvicinarla nei ricordi di letture giovanili, fatte di avventure, di tigri e pirati che però non hanno mai lasciato le rive del Po. Alto e sottile nella sua magrezza il ragazzo si muove sicuro sul fondo argilloso tenendosi con una mano a un bastone e con l’altra a una fotocamera con cui ferma anche le nuvole basse che ci avvolgono. E pensi che nei piedi e nei panni di quel giovane rumeno l’umidità boreale dell’Appennino e quella australe della foresta malese si sono per un attimo toccate e insieme confuse, perché il suo orizzonte è il mondo.

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