giovedì 14 febbraio 2013

Un'escursione deve finire per essere vera

La neve fa il paesaggio in negativo
Una escursione continua anche quando si è rientrati a casa. Basta prendersi il tempo per riavvolgere la pellicola degli ultimi due giorni passati in Appennino. Si può fare con la penna, con la tastiera o anche con la mente, richiamando alla memoria i tanti momenti che scandiscono un’escursione: il ritrovo in stazione, la salita da Porretta, la prima neve lungo il percorso, la luce del sole nel bosco di pini silvestri, il panorama sul Corno alle Scale, l’arrivo al Rifugio Monte Cavallo e la cena abbondante preparata da Maria; la sveglia all’alba, il the caldo di Ivan, la ripida discesa da Monte Pianaccetto nella neve vergine, il pranzo al sacco nel castagneto abbandonato di Case Calistri; lasciare la neve e ritrovare la terra, il borgo fantasma di Banditelli, il sentiero smarrito a Casa Poli, l’attesa del treno nel freddo e nella penombra di Biagioni, i saluti in stazione. Il tempo trascorso assume così un senso compiuto. Una compiutezza che nasce dalla sensazione che gli eventi abbiano avuto un’inizio e una fine, una logica  in cui trovano posto le persone e i comportamenti, la natura e il paesaggio, la fatica e la tensione, le risate e i silenzi ma anche l’imprevisto e l’incidente, conferendo senso e pregnanza ad ogni momento. E’ come se il tempo fosse più tempo. E’ come se la vita fosse più vita. E’ questo che intendiamo con la parola esperienza e il senso di questa esperienza la possiamo chiamare avventura; nel senso etimologico del termine: ciò che ci viene incontro, come un destino.
Possiamo dire altrettanto della nostra vita quotidiana? Possiamo ritrovare questa compiutezza di senso in ciò che facciamo abitualmente nel vivere?

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