martedì 26 febbraio 2013

Salire sul monte

Monte Tabor in Galilea
“Dio mi chiama a salire sul monte per dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. […] L’esistenza cristiana consiste in un continuo salire il monte dell’incontro con Dio per poi ridiscendere portando l’amore e la forza che ne derivano.” L’ultimo Angelus di Benedetto XVI, prima delle dimissioni.

Il Papa saluta e sale sul monte per incontrare Dio. Il monte è il luogo terreno più vicino al cielo, sede della dimora divina. Pregare, meditare e contemplare sono le forme di questo incontro con la divinità. Ma di quale monte parla il Papa? Del Monte Tabor, luogo della trasfigurazione di Cristo, da cui Pietro non voleva scendere al mondo per non allontanarsi dal suo Signore? Del Monte Sinai dove Mosè incontra il suo Dio che gli consegna le tavole della legge per portarle al suo popolo, che nel frattempo sceglie l’idolatria? Sarà per quest’idea sacra di montagna che per tanto tempo le vette sono state sedi di cappelle, croci e preghiere votive.
Il Papa dimissionario quando arriverà sul monte troverà anche altro. Scoprirà che la natura convive con l’ansia dell’uomo moderno di conquistare le cime, di lasciare una traccia nell’esplorazione dei limiti del suo io, di piantarvi bandiere nazionali, di costruire cippi e lapidi commemorative dopo avere sparso sangue, di innalzare tralicci per coprire il mondo di segnali radio, di installarvi stazioni sciistiche per consumare i fine settimana del turismo globale. Le cime dei monti, nate per essere inospitali all’uomo per incontrare il divino, sono diventate anche i luoghi dell’impresa, della guerra, del controllo, della distrazione di massa.
Per chi ha avuto in sorte di non credere, salire un monte è prima di tutto un’esperienza di fatica, in cui ascoltare sé stessi e il proprio corpo; un’intrusione nel selvatico basata sulla sensazione profonda, ancestrale, che le vette, nella loro intangibilità, rappresentano una dimensione di alterità. E’ da questa dimensione altra che ci sentiamo attratti ogni volta che il consorzio civile, come in questi giorni elettorali, dà pessime prove di sé. E’ da questa alterità che, oltre a contemplare il cielo e le nuvole, occorre allenare lo sguardo sul paesaggio umano sottostante e sulla nostra vita e, nella distanza, cercare un senso, cercare ancora una volta la voglia di scendere.

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