lunedì 11 marzo 2013

Le pietre sono parole

Selenite e laterizio a Pieve di Pastino
Camminiamo tra le pietre quasi senza accorgercene. Di selenite e laterizio è fatta l’ultima escursione. A Pieve di Pastino, sopra Ozzano dell’Emilia, quelle che sembrano ad uno sguardo superficiale case abbandonate, sono invece i resti di una antica pieve medievale che ha le sue radici forse  in epoca romana.  L’abbraccio con cui il laterizio avvolge la selenite di una delle case diroccate, racconta al camminatore la storia di una Pieve che nel Medioevo governava su molte anime tra Bologna e il Mugello, lungo l'antico tracciato della Flaminia Minor. Grossa pietra angolare della casa, la selenite continua a sorreggere questo rudere dopo secoli, anche di fronte all'indifferenza degli uomini per il patrimonio culturale. Brilla come vetro alla luce del sole, come secoli fa quando faceva parte del tempio di Pan, da cui si dice che la Pieve derivi, oppure quando ornava gli edifici pubblici di Claterna, prima che la caduta dell’Impero Romano e la paura nelle contrade di pianura ne facessero materiale di riuso in collina, al seguito delle popolazioni in fuga.
La selenite condivide con il laterizio l’interesse dell’uomo nel farne mattone, materiale per il proprio abitare, ma solo quello perché sono diverse in tutto. Il laterizio non esiste in natura, è argilla impastata, ridotta in stampi per darle una forma e cotta nelle fornaci per indurirla. La sua durezza e il suo carnato sono frutto del fuoco. L’uomo da secoli unisce mattone a mattone con la calce, secondo ordini diversi, ma sa e riconosce la fragilità della sua opera e ricorre alla pietra, alla selenite più antica, là dove i muri si incontrano, come a cercare un fondamento in natura a quell'abitare, che cerca di trasformare la natura stessa. 
Di laterizio è fatta anche la Chiesa di Santa Maria Assunta a Settefonti e di selenite le pietre angolari della sua pavimentazione sconnessa. A Settefonti si può toccare con mano la guerra in tempo di pace. Basta posare la mano sulla facciata, dove sono rimasti impressi i colpi dei proiettili degli Alleati, nell'inverno del '44, lungo il fronte della Linea Gotica. Il tatto è il senso con cui più di ogni altro percepiamo l’alterità, con cui facciamo esperienza del confine tra il nostro corpo e il mondo. Toccare con mano è un modo per credere, oltre ogni dubbio, all'esistenza delle cose, come pensava anche l’ingenuo Tommaso. Con il tatto la realtà prende corpo. La mano che passa sul laterizio carnoso, sente la forma concava del colpo che ha scavato l’impasto per poi rimbalzare di lato lasciando come il segno di una sbavatura, di un colpo maldestro di scalpello. Lungo la liscia cornice del portale il dito si infila nel foro regolare e diritto lasciato da un piccolo calibro e si può percepire la forza di penetrazione del proiettile sulla superficie dura della pietra. Di questa chiesa bombardata non restano ora che la facciata, qualche brandello di muro perimetrale e questi fori. Migliore sorte è toccata al campanile, un tempo torre di castello, abituata alla guerra e agli assedi.  Alle rovine, ai calcinacci si dà oggi il nome di inerti,  lo stesso aggettivo che si dà ad un corpo inanimato, abbandonato dalla vita, dopo essere stato sparato. Una volta questo luogo è stato castello, è stata chiesa, è stato corpo vitale per il territorio, abbandonato e  colpito dalle guerre rimane oggi inerte. La mano tocca la verità di un corpo inerte, abbandonato dalla vita.

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