Nel capanno partigiano |
Eppure quando è arrivata la pioggia, tra Marcoiano e Castellana, è stata accolta con trepidazione, come una prova a cui ci eravamo preparati ed ora ci dovevamo sottoporre, come parte ineliminabile del viaggio. Abbiamo tirato fuori dagli zaini le mantelle o gli ombrelli, i teli impermeabili. Qualcuno si è accorto di non essere bene attrezzato e ci siamo aiutati a vicenda. Abbiamo verificato che le macchine fotografiche, le apparecchiature e gli indumenti di ricambio fossero protetti e all'asciutto e poi, fatto tutto ciò, abbiamo ripreso a camminare, mentre la pioggia ha cominciato a scendere prima leggera e poi sempre più copiosa e regolare. E’ così che la pioggia, tanto temuta durante il giorno, è diventata compagna del nostro cammino al punto che dopo un po’, complice il calore del corpo, è come se fossimo diventati tutt’uno con quel paesaggio grondante, stillanti gocce come la corteccia di un carpino, la sporgenza di una roccia, lo spiovente di un tetto, il fondo sassoso e sempre più melmoso del sentiero. Ad un certo punto, tra le fronde di un bosco di faggi, è venuto naturale scostare i lembi dei cappucci e delle mantelle, chiudere gli ombrelli e sentire la pioggia direttamente sulla pelle calda e percepirla non come fastidio, ma come una dolce sensazione di appartenenza a ciò che ci circondava. Qualche goccia è entrata sotto i vestiti, si è mescolata al sudore e ha provocato qualche brivido. Gli abiti si sono attaccati alla pelle e li avremmo voluti togliere pensando ad un bagno caldo, ma è bastato riprendere il cammino e il fastidio è passato perché il cammino ci scalda quando siamo nella pioggia. Quando si è nella pioggia il corpo sente in modo diverso forse perché è la pelle a sentire con tutti i pori. Quando siamo nella pioggia ci sentiamo ancora di più allo scoperto. In quel bosco gocciolante i volti bagnati dei compagni di viaggio si rivelavano in una luce diversa: sembravano più nitidi e veri.
Siamo passati davanti a un bunker tedesco dell’ultima guerra, parte di quell’imponente apparato difensivo conosciuto come LineaGotica; una scritta vergata sul cemento armato diceva: “Unsere gefalleren 1944”, i nostri caduti del 1944. Poco distante abbiamo trovato rifugio in un angusto capanno partigiano sopra a Panna, dove al posto del camino una grande pietra mostrava scolpite una falce e un martello. Ci siamo stretti in dodici, al buio e in silenzio, nel comune ricordo di altre giornate di pioggia, fatte di violenza e di speranza, vissute da altri uomini e donne e ci è sembrato di vederli più nitidi e veri. Questo è quello che la pioggia porta con sé.
La fotografia è di Cristina Panicali
La fotografia è di Cristina Panicali
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