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Una sera speciale a Colle Ameno: il 25 luglio a settant’anni dalla caduta del fascismo, festeggiata come fece Papà Cervi, con una mangiata di
pastasciutta offerta dall’ANPI in nome di una memoria che non passa e di una fratellanza da venire.
Una grande e luminosa luna calante, l’imponente pino marittimo e la
facciata color mattone dell’Oratorio di S.Antonio fanno da cornice ad un prato
verde su cui alcuni ragazzi rincorrono un pallone, sordi ai richiami delle madri che escono
fuori di casa coprendosi il capo con il velo. Questo borgo, figlio di un’idea
illuminista di armonia tra uomo, natura e lavoro, divenuto campo di smistamento e prigionia dei nazisti, ospita oggi alloggi
popolari dove vivono alcune famiglie straniere con il loro figli, nati e cresciuti
in questo luogo, tra queste mura e su questo prato.
“E’ bello crescere qui” dice l’amica ricordando la sua infanzia di giochi in libertà nelle strade e nei cortili bolognesi, non ancora invasi dalle automobili. E il fatto che a calpestare quel prato sia un gruppo di ragazzi che hanno nel sangue gli echi del deserto, delle strade affollate dei suk e delle piste carovaniere percorse a piedi dai padri e dalle madri, riporta immediatamente alla mente il nostro dibattito provinciale sullo ius soli e lo ius sanguinis che anima queste giornate estive di parole e comportamenti che vanno oltre la civiltà di questo povero paese.
“E’ bello crescere qui” dice l’amica ricordando la sua infanzia di giochi in libertà nelle strade e nei cortili bolognesi, non ancora invasi dalle automobili. E il fatto che a calpestare quel prato sia un gruppo di ragazzi che hanno nel sangue gli echi del deserto, delle strade affollate dei suk e delle piste carovaniere percorse a piedi dai padri e dalle madri, riporta immediatamente alla mente il nostro dibattito provinciale sullo ius soli e lo ius sanguinis che anima queste giornate estive di parole e comportamenti che vanno oltre la civiltà di questo povero paese.
Se pensassimo di più con i piedi ci domanderemmo più
spesso di quale suolo stiamo parlando. Se pensassimo con i piedi, come fossimo in equilibrio su una corda tesa, sapremmo riconoscere i significati e il valore del suolo su cui camminiamo, a cui è affidato il senso del nostro essere al mondo, dell’abitare i luoghi e dello stare
su da sé. Abbiamo messo con troppa disinvoltura sotto le suole
delle scarpe le lunghe strisce di cemento e di catrame delle strade, le
geometrie variabili delle lottizzazioni urbanistiche, gli acciottolati dei
marciapiedi e dei cortili da cui non filtra un filo d’erba. Le spiagge sono
coperte da stabilimenti balneari con piscina e anche le montagne più impervie sono
scalate da nuovi impianti di risalita. Il tutto
costruito dei centri urbani si salda con il progressivo consumo del terreno
nelle provincie. Gli attentati speculativi al paesaggio dicono che lo ius soli che pratichiamo,
riempiendoci la bocca di libertà, è un attentato alla Costituzione.
Eppure per avere una Costituzione e ancora prima un suolo
libero su cui crescere e progredire ci fu chi combatté settant’anni fa e salì
sulle montagne, patì la fame, fece molta
strada per tornare a scendere nelle città e versò sangue. A questo ius
sanguinis occorre ritornare per proporre un’idea di cittadinanza
libera al ragazzo di seconda generazione che è nato e cresce a Colle Ameno e per
ricordare una pratica di cittadinanza consapevole a chi, nato in questa terra,
dimentica troppo spesso di pensare con i piedi.
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