mercoledì 19 febbraio 2014

Silenzi e rumori a Monte Venere

Cà dell'Uomo Morto, civico 8
A volte si esce in escursione perché si risponde ad un’urgenza, perché si insegue un pensiero che ti fa alzare la testa. Spesso si esce perché si sente il bisogno fisico di dare un corpo al respiro, di sentire i polmoni fare del vento un boccone.
“Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino”. Prendo a prestito parole note e importanti di Elio Vittorini per descrivere lo stato d’animo di una domenica mattina, durante la lettura dei quotidiani online, mentre fuori la pioggia ha appena smesso di battere l’asfalto. Il capo è chino sugli editoriali, i furori non sono proprio astratti ma certamente non eroici, né vivi, almeno finché l’occhio non cade su questo articolo: alla ricerca del silenzio perduto. 
Nello zaino infilo la carta dei sentieri del Comune di Monzuno, un piccolo ombrello, il blocco note, pane e salame e un libro: Il paesaggio e il silenzio di EugenioTurri. Non per leggerlo ma per tenere fermo quel pensiero che mi ha fatto alzare la testa e prendere la porta di casa e salire in Appennino. Da solo. In silenzio.
L’automobile sale guardinga nella densa foschia di nuvole basse. Dopo Vado, Furcolo, Le Selve e Tre Fasci anche Monzuno è un paese fantasma e nel parcheggio davanti al Municipio ombre di avventori s’infilano furtive nel bar dell’Albergo Monte Venere. In tanto silenzio si può partire inosservati e prendere il tratto della Via degli Dei che dal campo di calcio sale a Campagne e riposare il fiato rotto dopo la prima erta, intorno ai ruderi di Ca’ dell’Uomo Morto. Le case abbandonate e in rovina hanno il silenzio grave dell’intimità domestica violata dai crolli, dei vuoti creati dal tempo su cui si aprono gli scuri divelti. Nessun messaggio per il civico numero 8, ancora attaccato allo stipite della porta: il destinatario è l’assenza. Tra i mattoni e le travi una natura disordinata si arrampica e prende il sopravvento su una natura trasformata dall’uomo. Si sostituisce alla calce e al cemento a tenere insieme i resti di quella che è stata la dimora dell’uomo morto, a costruire una nuova architettura non più solo opera, non più solo rifugio alla fatica del lavoro e al rigore delle intemperie. Un incendio di rovi e di sterpi divampa intorno ai muri e dentro le stanze. Tiene lontano il visitatore e già ha soffocato un tralcio secco di vite. E’ così che il silenzio si lascia vedere.
Anche il cielo è tornato a farsi vedere, con il sole a squarciare la foschia e le nuvole che s’addensano in basso sulla Valle del Savena, lasciando di fronte scoperto e come sospeso, Loiano, a galleggiare nell’aria improvvisamente tersa.
Il silenzio è assenza di rumore. Il rumore è il prodotto del processo di trasformazione della natura da parte dell’uomo, sotto forma di energia. Non esistono praticamente più luoghi sul pianeta senza un rumore, perché a tanto è arrivata la grande trasformazione, a vantaggio dell’uomo, oltre il vantaggio dell’uomo. Anche i cieli sono solcati ad ogni latitudine dai reticoli sempre più fitti delle rotte aeree. Anche il cielo sopra Loiano mantiene le tracce bianche della scia di un velivolo e l’eco del rombo cupo del reattore che s’allontana.
Sasso Rosso
Non possiamo più vivere in un luogo senza un rumore. Sarebbe come vivere fuori dal paesaggio. Al contempo non riusciamo a vivere fuori dalla natura, in un mondo fatto solo di rumori, nel frastuono assordante di quel processo di trasformazione che sembra aver perso il senso e la direzione del proprio produrre. Non si dà ormai natura se non nella forma di insiemi primari, di residui e di riserve. Diverso e inedito, per molti versi, è il rapporto con il silenzio che avvolge la fitta trama di conversazioni nella dimensione totalmente artificiale e virtuale che anima il web, nella privacy, nell’anonimato di profili e username, così come si coglie all’ombra della grande torre Telecom de La Croce.
In una escursione in montagna silenzio e rumore a volte
si tengono insieme in un paesaggio sonoro sostenibile per l’orecchio e la mente e per questo crediamo di sentirci in armonia con noi stessi e con la natura. E’ così che il silenzio si lascia sentire nell’eco dei nostri passi.
Alla contrada Le Croci il sentiero fa una curva di centottanta gradi e lo sguardo, dapprima sulla Valle del Savena, vira sulla Valle del Setta e si posa sulle cime innevate del Cimone e del Corno alle Scale. Ci sono due panche di legno in cui appoggiare il corpo e i pensieri. La prima è vecchia e consunta. Si sta seduti in faccia al sole, con le spalle al muro di un oratorio, al riparo dall’aria, ma esposti all’irritazione di un cane che sente la presenza dell’estraneo. Non c’è modo di riposare e godere del calore invernale. Si lascia il comodo tepore per una nuova panca di coppale industriale, battuta dal vento, sul bordo della strada che guarda la valle. Da qui si può seguire con lo sguardo la curva del Contrafforte Pliocenico che termina sul Colle della Guardia, mentre precipita sulla pianura che si apre oltre Bologna, verso Ferrara, fino ad una barriera di nuvole e smog al di sopra della quale l’orizzonte lascia intravvedere l’orlo innevato dell’arco alpino. Da quassù si assiste alla grande messa in scena del paesaggio, in quel teatro ormai non più naturale in cui il cielo e le nuvole fanno da graticcia, i crinali imbiancati da arlecchini, i pendii grigi di boschi spogli da quinte laterali, mentre i tetti rossi delle case, il reticolo delle strade e le curve del fiume disegnano le tavole consunte di un palcoscenico calpestato da esseri umani, percorso da automezzi, solcato da treni e rotaie. Da quassù, dal silenzio di questa panca di legno, si percepisce solo a distanza l’eco del frastuono della recita che si svolge laggiù. E nella distanza si intuiscono anche i segni, spesso le ferite, che il tempo ha lasciato sul territorio per mano dell’uomo. Perché “il tempo del paesaggio non è il tempo dell’uomo. Il tempo del paesaggio è il silenzio. Il tempo dell’uomo è quello del rumore”. Da spettatore di questo posto in prima fila, è ora di scendere a valle per tornare a recitare la propria parte, nel frastuono di astratti furori, non eroici, né vivi, ma con in testa quel silenzio.

Intorno a Monte Venere
Percorso: Monzuno Centro sportivo - Campagne - Campo del Papa - La Gardlina - Il Rifugio del Viandante - Pianello - Madonna dei fulmini - La Croce - Sasso Rosso - Posta d'Zena - Monte Poggio Santa Croce - Oratorio Le Croci - Sasso Rosso - Es Fat id Crest - Monte Venere - La Croce degli Spiriti - La Bùsa di Buschett - Trappola - Montecastello - La Faggiola - Monzuno Municipio. Durata: 4 ore, dalle 10.45 alle 14.45; Sentieri: 019 VD - 10; Cartografia: Monzuno Carta dei sentieri 1:25.000; Note: tempo sereno, sentieri nel bosco a tratti fangosi e scivolosi.

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