martedì 28 gennaio 2014

Cosa manca alla neve di oggi

Bologna sotto la neve di oggi
Oggi è caduta la neve in città. 
Mi è tornata alla mente una considerazione che faceva quel grande saggio che è stato Mario Rigoni Stern. Una volta i nostri vecchi avevano l’abitudine di segnare sul calendario il tempo atmosferico delle giornata a cui seguiva il lavoro svolto nei campi, nell’orto, nella legnaia o nel bosco, nella stalla come negli ovili o nel magazzino. Nel tempo e negli anni quel calendario diventava come un diario dove le ricorrenze metereologiche si mescolavano con le scadenze della mietitura, della vendemmia, del dissodamento, dell’aratura, del legnatico, che si intrecciavano con le feste civili e religiose, con i fatti della vita e della famiglia: le nascite, le morti, i matrimoni. E’ così che il tempo meteorologico diventava tempo di vita e non è un caso che anche le parole di certe lingue riuscissero a mantenere il senso profondo di un legame con la terra abitata, con il paesaggio a cui si sentiva di appartenere.  
In Sentieri sotto la neve, Mario Rigoni Stern ricorda come nell’antica lingua cimbra, quasi scomparsa dall’Altopiano di Asiago, la neve aveva tanti nomi diversi per ogni stagione, per ogni paesaggio.
"Ho tante nevi nella memoria: nevi di slavine, nevi di alte quote, nevi di montagne albanesi, di steppe russe, di lande polacche. Ma non di queste intendo parlare, dirò di come le nevi un tempo venivano indicate dalle mie parti: nevi dai più nomi, nevi d’antan, non considerate nei bollettini della stazioni meteorologiche. BRÜSKALAN, la prima neve dell’anno, dunque in autunno, quella vera: lo si sentiva nell’aria l’odore della prima neve, un odore pulito, leggero, più buono e grato di quello della nebbia. È la neve che copre i campi, li infarina, che avvolge ogni cosa di un velo bianco. SNEEA, neve abbondante e leggera giù dal molino del cielo: le voci si affievoliscono, il mondo diventa ovattato. È neve da sci e slittini, da caldo del focolare e della stua. HAAPAR, neve di fine inverno, che si scioglie al sole e lascia intravedere il terreno sottostante. Le prime allodole cantano all’imminente primavera. HAARNUST, neve vecchia che verso primavera, nelle ore calde, il sole ammorbidisce in superficie e che poi il freddo della notte indurisce. Neve per escursioni fuori pista a piedi o con gli sci, ma solo fino a metà mattina, fino a che sopporta il peso senza cedere: vi si cammina come sospesi. SWALBALASNEEA, la neve della rondine, la neve di marzo che è sempre puntuale nei secoli, soffice o bagnata, larga o simile a tormenta, volubile come il clima di marzo, neve che è l’ultima resistenza dell’inverno. KUKSNEEA, la neve di aprile: sui prati che incominciano a rinverdire e dove sono fioriti i crochi non si ferma molto perché ancora prima del sole la terra in amore la fa sciogliere. Neve effimera, neve di fine stagione. BÀCHTALASNEEA, la neve della quaglia, neve di maggio, non frequente, ma neppure rara: la temperatura cala bruscamente, una grossa nuvola si avvicina e per poche ore butta la neve sui tarassachi e sui miosotidi, allarmando i caprioli, spaventando gli uccelli e uccidendo le api avventuratesi nei prati. KUASNEEA, la neve delle vacche, la rara neve d’estate, che fa scendere urlanti dai pascoli le vacche affamate” 
Nella neve di oggi, dal tepore delle nostre case e dei nostri laboriosi uffici, niente di tutto quello che racconta Mario traspare, al punto da domandarsi se la lingua che possediamo e che pratichiamo non sia altro che lo specchio del senso di estraneità con il paesaggio in cui abitiamo. E forse avrebbe senso invertire l’ordine tra cosa e parola in quel verso della poesia di Stefan George, Das Wort (La parola, 1919) per dire che: “ Nessuna parola è (sia) dove la cosa manca”. Proprio come la neve quando si scioglie. 

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