Bruno Monti: il Cinno |
Bruno Monti ha fatto il suo ultimo passo in
questo mondo ed erano in tanti a salutarlo presso il Municipio di Casalecchiodi Reno. Per alcuni è già oltre, per molti rimarrà sempre, per altri è cenere
in un’urna. Molti hanno un ricordo intenso di lui e pensieri e parole più adatte di
queste, perché hanno goduto della vicinanza, dell’affetto, dell’amicizia e della
solidarietà della sua persona.
Ora
Bruno ha varcato la soglia del ricordo e l’ha fatto con il suo passo da
partigiano e proprio questo passo vorrei tenermi caro. Il movimento
deciso e ampio delle sue gambe corte e
quella spinta in avanti del suo piccolo corpo, che trasmetteva certezza e determinazione nella direzione, insieme a slancio ed entusiasmo. Sono convinto che era lo
stesso passo che fece quando nell’aprile del ’44 entrò nella 63°Brigata Bolero, a sedici anni, per
fare da raccordo tra i GAP cittadini
e i gruppi della montagna, con il nome di battaglia "il Cinno", il ragazzino. Era lo stesso passo che fece quando varcò la soglia del
carcere tra il marzo e l’aprile del ’45, prima di vedere la liberazione di
Bologna. Lo stesso che lo portò a seguire un’ideale
in Unione Sovietica, da cui tornò senza mai raccontare tutto fino in fondo. Era il passo con
cui apriva la porta di centinaia di aule scolastiche per raccontare ai bambini
e ai ragazzi che cos’è stata la lotta di Liberazione e le ragioni della Resistenza,
senza mai pensare che fossero del tutto al sicuro nelle istituzioni
repubblicane. Era quel passo che lo portava spesso a Monte Sole a
raccontare da testimone la storia di una strage che ancora lascia increduli e che lo ha portato, pochi giorni prima della fine, ancora una volta sul luogo dell'Eccidio del cavalcavia del 10 ottobre del '44.
Era il passo con cui entrava nelle riunioni per l'ANPI,
con la voglia di fare e di cercare le ragioni profonde di quel
fare. Prima di uscire si fermava sulla soglia e ti guardava con gli occhi
stretti come fessure nel volto tondo,
con il dubbio che non tutto fosse stato detto o fosse stato fatto. Si portava
lo zaino sulla spalla, si calcava il berretto in testa - il
colbacco russo in inverno, la visiera da ragazzo in estate - e imboccava con quel passo deciso l’uscio, come andasse a cercare quello che mancava, come dovesse salire ancora una volta in montagna, come
settant’anni prima.
Questo
era il passo del Cinno e noi possiamo
provare a seguirlo mentre cammina con lo zaino in spalla, se ne saremo capaci.
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