Bonjour Monsieur Courbet |
Cammino
randagio nella sezione genetica de La Villette di Parigi e mi accorgo che senza
l’errore, senza la casuale combinazione di fattori, senza la
deviazione episodica dalla diritta via della ripetitività dei comportamenti umani
e animali, non vi sarebbe stata evoluzione e quindi vita. Esiste quindi un
errore creativo. Come distinguerlo da un errore distruttivo? Errare è quindi
umano, ma è soprattutto vitale. Quando errare diventa vitale? Dante smarrisce
la diritta via in una selva e si incammina lungo la più difficile strada
dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, in un viaggio nella vita
dell’uomo, della storia, della divinità. Errare
è diventato sinonimo negativo del camminare, deviazione dalla retta via dettata
prima di tutto dalla religione cristiana e dai suoi comandamenti. Via, Verità e
Vita sono le tre V del cammino nella luce di Cristo, ci insegnavano da piccoli:
la Via sta nella Verità che sta nella
Vita, solo se consacrata al Cristo. Sarà per questo che la Chiesa ha così tante
resistenze ad ammettere l’evoluzionismo, fondato sul caso, sulla possibilità
dell’errore, su una costante erranza della vita, che non ammette diritte vie
precostituite. Sarà per questo che la diritta via, spesso rappresentata dalla
legge, ha punito per tanto tempo l’erranza, il vagabondaggio, il nomadismo del
singolo come di un intero popolo, confinandolo ai margini della società, spesso
nella categoria dell’errore sociale, come pericolosa alterità.
Una
mostra al Gran Palais di Parigi - Bohemes - descrive come la cultura
occidentale ha costruito nei secoli un immaginario sull’alterità del popolo zingaro
sia in positivo che in negativo: esotismo, bellezza, desiderio, mistero,
libertà, ma anche furbizia, ladrocinio, inferiorità, pericolo. Il popolo
errante è stato spesso respinto dalle legislazioni nelle foreste, nelle grotte,
in luoghi inospitali e reconditi, ai margini delle forme ammesse di economia, in
aree ancora più estreme di quelle riservate al popolo ebraico. E’ dal
Romanticismo in poi e con la moda Bohemien che per un intera generazione, avviene
un processo di immedesimazione in alcuni dei tratti del mondo gitano, intesi
come libertà espressiva e creativa, anticonformismo, rivolta e ribellione ai
doveri e alle leggi della società borghese vittoriosa. Con il fenomeno Bohemien
è la borghesia che crea nel suo seno i rappresentanti della critica alle sue
stesse leggi, ma senza dare loro la possibilità di abbatterle perché incapaci
di tradire il tratto individualistico della rivoluzione borghese della
modernità. Le soffitte dei Bohemien sono quanto di più lontano vi sia dal
senso di libertà rappresentato dalla strada per gli zingari. I Bohemien rimangono
all’interno dell’edificio borghese per ritirarsi nel luogo più angusto e
malsano, per testimoniare il rifiuto di quella società da cui non riescono però
ad uscire. Fuggono nella finzione del teatro e del tabarin, dell’alcool, delle
droghe e dell’arte, terre di confine tra realismo e illusione. Altri, di questa
generazione, scelgono altre forme di fuga: Rimbaud cammina da Charleville a
Parigi diverse volte e poi fino a Londra da Verlaine, battello ebbro che si
incaglia sulle rotte del commercio d’armi del deserto africano. Courbet va per
le strade alla ricerca dei Gitani. La Scuola di Barbizon pratica la prima pittura
ambientalista. Gli impressionisti scoprono l’arte errabonda en plein air. VanGogh consuma le sue scarpe fino a dipingerrne il disfacimento, la consunzione
della vita e delle forme che culmina nella ossessione della St Victoire di
Cezanne con il superamento del naturalismo e il progressivo abbandono del
reale. Artisti
camminatori. Erranti al di fuori della diritta via. Hanno aperto nuovi sentieri
per la creatività. Avrà qualcosa a che fare con la loro carica innovativa il
fatto che Courbet, Corot, Monet, Rimbaud, Van Gogh, Gaugin, Cezanne fossero
uomini dediti al camminare? Bisognerebbe seguire la sottile linea degli artisti
erranti. Su questa stessa linea incontreremmo anche un artista italiano come
Dino Campana con i sui Canti Orfici alle pendici del Falterona. Dove
porta l’erranza? In alcuni casi allo smarrimento, al perdere sé stessi, al
disperdere il proprio tempo. E’ uno degli esiti della crisi delle diritte vie
che ha lasciato grandi spazi allo smarrimento, al punto che la stessa erranza
per qualcuno è diventata fine a sé stessa. Errare può essere ancora un buon
antidoto contro i fondamentalismo o contro i facili conformismi, ma forse è lo
stato in cui viviamo e siamo immersi, senza accorgercene.
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