venerdì 11 gennaio 2013

Errare humanum est?

Bonjour Monsieur Courbet
Cosa dice l’errore della diritta via?
Cammino randagio nella sezione genetica de La Villette di Parigi e mi accorgo che senza l’errore, senza la casuale combinazione di fattori, senza la deviazione episodica dalla diritta via della ripetitività dei comportamenti umani e animali, non vi sarebbe stata evoluzione e quindi vita. Esiste quindi un errore creativo. Come distinguerlo da un errore distruttivo? Errare è quindi umano, ma è soprattutto vitale. Quando errare diventa vitale? Dante smarrisce la diritta via in una selva e si incammina lungo la più difficile strada dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, in un viaggio nella vita dell’uomo, della storia, della divinità. Errare è diventato sinonimo negativo del camminare, deviazione dalla retta via dettata prima di tutto dalla religione cristiana e dai suoi comandamenti. Via, Verità e Vita sono le tre V del cammino nella luce di Cristo, ci insegnavano da piccoli:  la Via sta nella Verità che sta nella Vita, solo se consacrata al Cristo. Sarà per questo che la Chiesa ha così tante resistenze ad ammettere l’evoluzionismo, fondato sul caso, sulla possibilità dell’errore, su una costante erranza della vita, che non ammette diritte vie precostituite. Sarà per questo che la diritta via, spesso rappresentata dalla legge, ha punito per tanto tempo l’erranza, il vagabondaggio, il nomadismo del singolo come di un intero popolo, confinandolo ai margini della società, spesso nella categoria dell’errore sociale, come pericolosa alterità.

Una mostra al Gran Palais di Parigi - Bohemes - descrive come la cultura occidentale ha costruito nei secoli un immaginario sull’alterità del popolo zingaro sia in positivo che in negativo: esotismo, bellezza, desiderio, mistero, libertà, ma anche furbizia, ladrocinio, inferiorità, pericolo. Il popolo errante è stato spesso respinto dalle legislazioni nelle foreste, nelle grotte, in luoghi inospitali e reconditi, ai margini delle forme ammesse di economia, in aree ancora più estreme di quelle riservate al popolo ebraico. E’ dal Romanticismo in poi e con la moda Bohemien che per un intera generazione, avviene un processo di immedesimazione in alcuni dei tratti del mondo gitano, intesi come libertà espressiva e creativa, anticonformismo, rivolta e ribellione ai doveri e alle leggi della società borghese vittoriosa. Con il fenomeno Bohemien è la borghesia che crea nel suo seno i rappresentanti della critica alle sue stesse leggi, ma senza dare loro la possibilità di abbatterle perché incapaci di tradire il tratto individualistico della rivoluzione borghese della modernità. Le soffitte dei Bohemien sono quanto di più lontano vi sia dal senso di libertà rappresentato dalla strada per gli zingari. I Bohemien rimangono all’interno dell’edificio borghese per ritirarsi nel luogo più angusto e malsano, per testimoniare il rifiuto di quella società da cui non riescono però ad uscire. Fuggono nella finzione del teatro e del tabarin, dell’alcool, delle droghe e dell’arte, terre di confine tra realismo e illusione. Altri, di questa generazione, scelgono altre forme di fuga: Rimbaud cammina da Charleville a Parigi diverse volte e poi fino a Londra da Verlaine, battello ebbro che si incaglia sulle rotte del commercio d’armi del deserto africano. Courbet va per le strade alla ricerca dei Gitani. La Scuola di Barbizon pratica la prima pittura ambientalista. Gli impressionisti scoprono l’arte errabonda en plein air. VanGogh consuma le sue scarpe fino a dipingerrne il disfacimento, la consunzione della vita e delle forme che culmina nella ossessione della St Victoire di Cezanne con il superamento del naturalismo e il progressivo abbandono del reale. Artisti camminatori. Erranti al di fuori della diritta via. Hanno aperto nuovi sentieri per la creatività. Avrà qualcosa a che fare con la loro carica innovativa il fatto che Courbet, Corot, Monet, Rimbaud, Van Gogh, Gaugin, Cezanne fossero uomini dediti al camminare? Bisognerebbe seguire la sottile linea degli artisti erranti. Su questa stessa linea incontreremmo anche un artista italiano come Dino Campana con i sui Canti Orfici alle pendici del Falterona. Dove porta l’erranza? In alcuni casi allo smarrimento, al perdere sé stessi, al disperdere il proprio tempo. E’ uno degli esiti della crisi delle diritte vie che ha lasciato grandi spazi allo smarrimento, al punto che la stessa erranza per qualcuno è diventata fine a sé stessa. Errare può essere ancora un buon antidoto contro i fondamentalismo o contro i facili conformismi, ma forse è lo stato in cui viviamo e siamo immersi, senza accorgercene.

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